A scuola d'integrazione e di riflessione, per guardare oltre noi stessi

Giulia Serra
21/04/2015
Attualità
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BOLOTANA. Ci sono messaggi che passano con la semplicità di un post, che si ripetono all'infinito e che alla fine assumono le sembianze di un pensiero condiviso, scontato ed accettabile.
C'è qualcosa di inquietante nella superficialità del pensiero e nell'effetto della sua diffusione a macchia d'olio: l'identificazione semplicistica degli esseri umani attraverso etichette che riportano la razza, la religione e, sempre più diffusamente, la mera condizione di vita come marchi che classificano e distinguono le persone e attribuiscono loro  reati supposti e pene da scontare.

Così, nel grande dibattito che riguarda il tema dei migranti, dei popoli strozzati e depauperati dalle attività secolari di un occidente predatore, dalle guerre interne per l'accaparramento delle materie prime e del potere politico ed economico, quella massa di persone comuni che insegue strenuamente il sogno di una vita migliore o solo della sopravvivenza diviene, nell'immaginario collettivo, un peso insostenibile e la causa di tutti i mali che attanagliano le nostre vite.

Quelle donne, quegli uomini e quei bambini cessano di essere esseri umani e assumono le sembianze del nemico.

Una disumanizzazione che corre veloce e che diventa epidemia, contagiando anche i bambini, i ragazzi, i giovani che dovrebbero, nel mondo globalizzato, vivere e ritagliarsi il proprio spazio.

Correre ai ripari non è semplice, ma certamente da qualche parte bisogna iniziare: in questo quadro s'inserisce il progetto Eas ( Educazione allo Sviluppo ) Finestre sul Mondo  finanziato dal Ministero Affari Esteri insieme di ong italiane con capofila Engim (www.engiminternazionale.org). Tra questi partner Tulime (www.tulime.org), che ha gestito laboratori nelle scuole con il supporto della Cooperativa Alternatura e del CEAS Bolotana. Un programma che intende aprire uno squarcio nel velo di intolleranza che  non consente allo sguardo di esplorare l'esistenza e di riconoscerne la meraviglia delle sue numerose forme.

Il primo appuntamento si è tenuto la scorsa settimana a Bolotana. Sono stati coinvolti i ragazzi delle seconde e terze classi  dell'Istituto Comprensivo B.R.Motzo.

Tra le varie attività, l'incontro e l'ascolto dell'esperienza di vita di Ademola, Nigeriano trasferitosi in Libia dopo una serie di problemi dovuti ad un incidente automobilistico che coinvolgeva una Multinazionale Petrolifera e scappato poi dalla Libia nel 2011 a seguito dello scoppio della guerra.

“Non volevo venire in Italia - racconta ai ragazzi -  in Libia stavo bene, lavoravo e avevo tutto. Quando è iniziata la guerra sono stato costretto a scappare e non potevo tornare a casa mia in Nigeria. Sono arrivato a Lampedusa su un barcone dopo 28 ore di traversata”.
Un richiedente asilo quindi, che ha ottenuto oggi il riconoscimento dell'Asilo Politico: un ragazzo, uno come tanti, scappato dalla guerra e con negli occhi la voglia di ricominciare.
“Non voglio stare in Italia, voglio andare nel Nord Europa. Qui per avere i tuoi diritti devi lottare perché niente è scontato. In altri paesi è diverso, i diritti sono garantiti per tutti. Qua non lo sono neppure per gli italiani.”

Difficile dar torto ad Ademola.
Dei diritti negati l'Italia è la patria in fondo. Lo è per noi, che abbiamo lo status di cittadini e in questa terra siamo nati.
Nel ragionamento superficiale sempre più diffuso, i diritti degli Italiani sono erosi dalla presenza degli “stranieri”, ai quali tutto sarebbe concesso.

Nella realtà la dimensione è altra ovviamente, ma l'analisi dei mali di uno Stato alla deriva sarebbe troppo dolorosa e troppo impegnativa: si potrebbe scoprire che siamo noi gli artefici del nostro presente, sfiancato da un sistema politico-economico che ha trascurato completamente il bene comune per aggrovigliarsi dentro la corruzione, il malaffare, le ruberie, i clientelismi, le economie malate, i privilegi e le distorsioni, “rosicchiando” giorno dopo giorno l'ossatura di un intero Paese.

Eppure, forse, per ripartire, dovremo squarciarlo anche noi quel velo: quello dell'ipocrisia di chi attribuisce ad altri i mali che gli sono propri. 

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