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Dall'altra parte del cancello arriva solo l'eco: cosa succede dentro il Cpr di Macomer?

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MACOMER. “Noi fuori dal cancello, noi che siamo normali, noi possiamo far tutto, noi che abbiamo la fortuna di esser sani, possiamo avere un buon lavoro, una famiglia sempre unita, un'esistenza piena di rapporti umani. Noi che abbiamo gli strumenti per poterci realizzare con un titolo di studio, si può viaggiare, si può avere il passaporto, la patente, il porto d'armi e la domenica allo stadio”. Così cantava Giorgio Gaber nel 1973 nel pezzo “Dall'altra parte del cancello”, col quale si portava in scena l'amara realtà degli ammalati psichiatrici, selezionati ed incarcerati nell'indifferenza della società, chiusi dietro le sbarre e privati di qualsiasi possibilità di riscatto a causa della loro condizione.

Era la legge dello Stato.

Siamo negli anni Settanta e quando, nel 1978, il Parlamento italiano approvò la cosiddetta legge Basaglia, sul territorio nazionale si contavano 98 manicomi dove erano stati internati, in maniera ovviamente coatta, decine di migliaia di persone, bambini inclusi.

Anche oggi c'è una società che sta dall'altra parte del cancello, quello invalicabile dei nuovi Cpr, i centri di permanenza finalizzati al rimpatrio dei migranti.

Anche in questo caso, le persone costrette all'interno di queste nuove galere non stanno scontando una pena per un reato commesso. La loro colpa è una condizione, nella fattispecie non psichiatrica ma amministrativa: sono considerati irregolari, “clandestini”. Non sono riusciti ad ottenere lo status che consentisse loro di restare sul territorio italiano. Per questo li aspetta il rimpatrio, destinati a rientrare in quegli stessi paesi di origine che hanno cercato di abbandonare per ragioni politiche, economiche o ambientali, magari attraversando il deserto ed il mare in compagnia di quella che in queste situazioni è una fedele compagna di viaggio, la morte.

Prima di essere rispediti a casa come pacchi postali sbagliati, riconsegnati a coloro dai quali cercavano di fuggire, devono però passare per la detenzione ed esattamente a questo servono i Cpr.

Sono le leggi dello Stato.

A Macomer si è aperto da poche settimane il CPR regionale della Sardegna. Insediata nell'ex carcere mandamentale di Bonu Trau, la struttura può accogliere attualmente fino a 50 persone. Potrà arrivare a 100 dopo i lavori di adeguamento dell'altra ala dell'edificio.

La domanda è: cosa succede all'interno del Cpr?

E chi e quanti sono gli ospiti? Quali le loro storie? Quali sono le loro condizioni?

Risposte che, almeno ufficialmente, non ci sono e probabilmente non ci saranno.

A spezzare la cappa di silenzio istituzionale che avvolge il Centro è stato nei giorni scorsi la lettera aperta della Presidente delle Camere Penali di Oristano, l'avvocata Rosaria Manconi, pubblicata sulle pagine de La Nuova Sardegna. Un intervento incredibilmente potente e coraggioso che forse attendeva, e alla prova dei fatti attende ancora, una reazione.

Sono già tanti i problemi presenti – scrive la Presidente - dalla tutela della salute sino alla effettività della difesa legale dei ristretti, dalla garanzia dei servizi essenziali, al rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali” - è il grido di allarme di chi non può che parlare per cognizione di causa. Ancora: “i Cpr sono edifici che hanno tutte le caratteristiche di un carcere di massima sicurezza senza paradossalmente neppure le garanzie previste per chi vi si trova ristretto, nei quali gli immigrati, pur non avendo violato un precetto penale, vengono privati delle loro libertà. La struttura in sé - è la pesante denuncia messa nero su bianco da Rosaria Manconi - non garantisce il rispetto dei diritti dei "trattenuti". L'assenza di aree di socialità, il divieto di comunicazione con l'esterno attuata mediante il sequestro dei telefoni personali e la mancanza di strutture destinate alla, seppure momentanea, integrazione (biblioteche e luoghi di lettura, impegno lavorativo, pratica di attività fisiche, per esemplificare) fanno ragionevolmente ritenere che l'ozio, la convivenza forzata e la promiscuità, la condizione di ghettizzazione unita alla mancanza di speranza ed alla prospettiva di una permanenza sine die, possano dare vita a situazioni di tensione difficilmente controllabili”.

Un intervento disarmante nella sua chiarezza essenziale e una rappresentazione sconcertante davanti alla quale il senso di umanità e di giustizia si ammutolisce disorientato.

E noi, noi che siamo dall'altra parte del cancello, possiamo ancora restare indifferenti a ciò che ora abbiamo anche davanti ai nostri occhi, a pochi chilometri dalle nostre case?

                                                    Le notizie che trapelano dal Centro

Il Cpr di Macomer doveva essere il deterrente per gli sbarchi degli algerini nelle coste del Sulcis.

Ad oggi però, delle circa 40 persone che sono state portate nella struttura, nessuno parrebbe essere di nazionalità algerina e provenire dalla Sardegna. Ci risulta invece che i “trattenuti” siano stati trasferiti in terra sarda da Taranto, Torino e Trapani. Gran parte di loro sarebbe di origine Nigeriana, lo stato africano fiaccato da feroci conflitti interni di tipo sia terroristico, che economico ed ambientale, nel quale i numeri della grave crisi umanitaria in corso, secondo l'ultimo Rapporto COI, sono in costante aumento.

Dentro il centro macomerese non mancherebbero neanche situazioni di tensioni interne e si sarebbero già verificati almeno due casi di autolesionismo, per i quali è stato necessario allertare il personale del 118. Un passaggio non esattamente lineare, perché secondo quanto risulta non sarebbe ancora attivo neanche un piano sanitario e anche per gli interventi esterni in caso di emergenza la procedura non sarebbe scontata, bensì soggetta a particolari autorizzazioni.

Pare che in almeno uno dei casi in questione, la persona ferita sia stata portata infine al Pronto Soccorso di Nuoro, mentre per altri si sarebbe trovata una soluzione interna. Sull'intera situazione e sulle condizioni delle persone segregate nel Cpr non si hanno purtroppo notizie ufficiali.

Certo è invece che il nuovo Cpr di Macomer sia organizzato come un vero e proprio regime carcerario, nonostante all'interno non vi siano i classici “detenuti”, bensì uomini liberi che non hanno commesso nessun reato. Esseri umani sottoposti alla privazione della libertà, con l'aggravante dell'imposizione di un isolamento totale dal mondo esterno, che non avrebbero neppure garantiti, se non pro forma, i diritti alla difesa legale.

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