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Intervista al deputato di Borore Michele Piras

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Sei stato l'unico del centrosinistra a votare l'ordine del giorno di Pili sul seggio sardo al parlamento europeo. Come mai ancora una volta si è mancato questo obiettivo?

Perché c'è un'interesse incrociato, soprattutto dei partiti legati a Roma, a mantenere la situazione esistente. Il voto contrario all'ordine del giorno proposto da Mauro Pili è il caso di minor rilevanza, si sarebbe trattato solo di un impegno formale per il governo. E' stata bocciata, invece, la proposta di emendamento della legge elettorale europea presentato al senato, e questo è più grave [ieri è stata bocciata anche alla Camera, ndr]. La questione, comunque, va pensata e riformata in modo diverso, con il riconoscimento dello status di minoranza linguistica e di insularità. Altrimenti, si rischia di eleggere solo 2 parlamentari europei, che non sarebbero rappresentativi della cultura politica presente nell'isola: per come è congegnato il meccanismo, sarebbero eletti probabilmente uno del PD e uno tra Forza Italia e Movimento 5 Stelle, e molte altre aree politiche non sarebbero rappresentate. La nostra questione è come quella della Valle d'Aosta, che pur avendo una popolazione molto inferiore elegge un parlamentare, o come l'Alto Adige che elegge perché è minoranza linguistica. Sull'ordine del giorno di Pili, poi, ha influito la strumentalità politica, per cui chi non fa parte di quello schieramento ha votato contro; io ho pensato fosse giusto premiare l'iniziativa e votare a favore, e così ha fatto tutto il mio gruppo.

Quello di Renzi viene definito il terzo governo consecutivo 'non eletto dal popolo'; è chiaro che si tratta di una semplificazione, ma quanto può pesare, per un esecutivo, la mancanza di un mandato elettorale 'diretto', soprattutto nella percezione della responsabilità verso i cittadini?

Intanto va detto, una volta per tutte, che governi eletti dal popolo non ce ne sono mai stati in italia,  non c'è mai stata l'elezione diretta dei presidenti e dei governi: siamo una Repubblica parlamentare e i Governi vengono eletti dal Parlamento, così è sempre stato e, dico io, è meglio che sia così. Non credo sia questo il motivo determinante della frizione fra elettorato e rappresentanza politica, credo che il tema sia un altro: la capacità di dare risposte ai bisogni sociali e di costruire speranza.
Senza questo non ci può essere alcun sentimento di rappresentanza, che tu la elegga o meno; anche su questo, si è parlato tanto del procellum o dei nominati, ma alla fine quelli sono comunque eletti: l'elettore sa che c'è un meccanismo elettorale e che presumibilmente il primo, secondo o terzo entreranno. Ma anche alle regionali, dove le preferenze ci sono, i dati ci danno una partecipazione del 52% con il 5% che ha fatto scheda bianca o nulla; il problema quindi è se la politica riesce a recuperare la dimensione della risposta ai bisogni pubblici. Se la politica risolve questo tema, la gente si riavvicinerà, ora non ci si fida più di nessuno.

Ti senti parte della 'casta'? Come ci si sente dall'altra parte della barricata, visto che è la tua prima esperienza in un'assemblea elettiva?

Ci si sente, o almeno io mi sento precisamente uguale a ieri, anche se ammetto che a un anno di distanza dalla mia elezione non mi sono ancora completamente abituato alla mia nuova condizione. Intanto perché fare politica alla Camera è completamente diverso da ciò che ho sempre fatto: mi mancano il rapporto con territorio, con i compagni, con la famiglia, il mio bambino, e a volte lì, a Roma, ti senti davvero sradicato dalla realtà. Ci sono giornate in cui ti senti un automa, votando provvedimenti che conosci a grandi linee, ma che altri compagni hanno seguito, altre giornate in cui ti senti invece utile, coinvolto, partecipe, e poi giornate in cui ti senti completamente vuoto, con una sensazione di tempo perso: è un po' alienante. Non ci si sente diversi intimamente, ma forse quella dimensione, quell'ambiente, anche quei benefici e prerogative possano cambiare le persone; per quanto mi riguarda, diciamo che ad un anno a questa parte non so se alcune delle mie scelte di vita sono state giuste, lo risolverò più avanti.

Torniamo in Sardegna, per parlare di lavoro e sviluppo: nel Marghine, come altrove in Sardegna e in Italia, il tema sempre presente è quello della possibilità, o meno, di conciliare la tutela dell'ambiente con la creazione di lavoro, in particolare nel settore industriale.

Parto da una considerazione molto generale: la sfida del presente, e quella del futuro, è  proprio coniugare ambiente e lavoro. Attualmente, lo sviluppo delle tecnologie e della ricerca lo permetterebbe, consentendo di realizzare produzioni, che oggi sono inquinanti, con metodi sicuri per l'ambiente, ma con una spesa aggiuntiva che sottrae margini di profitto alle aziende: quindi, si tratta di una scelta politica. Non sta scritto da nessuna parte che per alcune produzioni si debba necessariamente inquinare, è una legge del profitto quella che muove le aziende che arrivano in Sardegna, agiscono su condizioni di marginalizzazione crescente, e propongono investimenti a costo zero dal punto di vista ambientale e pure sociale, per cui “prendo, arrivo, utilizzo e produco, poi quando le condizioni mutano prendo i piedi e vado altrove”.
La verità è che ci sono esperienze, come quella tedesca, di clausole ambientali e sociali: in Germania, le industrie che nascono con sovvenzioni pubbliche hanno l'obbligo di mantenere per 5 anni l'ammortizzatore sociale. E' palese la differenza con l'Italia, dove il pubblico si sobbarca i costi sociali mentre il privato si tiene i profitti. Su questo terreno è possibile, invece, un altro ragionamento, e anche la Sardegna centrale potrebbe vivere una rinascita economica e industriale: io penso che un'economia natura si regga sulla diversificazione della produzione, che però non può funzionare senza l'industria. Su questa sfida si gioca ampia parte della prospettiva di governo per una forza come la nostra, piccola, ma che ambisce a governare i processi sociali.

A proposito di lavoro e soprattutto di disperazione, ti chiederei, anche considerato il tuo percorso politico da comunista – pur militando ora in un partito che non si definisce tale: esiste ancora il conflitto di classe in Sardegna o quello che serve oggi è una vertenza di tutti i sardi contro lo Stato?

Intanto non credo, ovviamente, che comunista sia una parolaccia, anzi. Sono due livelli che si toccano: la lotta di classe esiste ma si fa solo da una parte, dall'alto verso il basso. Se possiamo cambiare la terminologia, per non usare sempre la stessa, possiamo dire che lo scontro è diventato alto-basso, e in questo c'è un altro livello di scontro tutto nella parte bassa. Più che esplicita lotta di classi organizzate, c'è una lotta dall'alto al basso e una lotta all'interno della stessa classe sociale, che è la migliore condizione della riproduzione del potere superiore, e la controprova sono i dati economici. Mentre il grosso della società si impoverisce, c'è chi nella crisi si è arricchito e questa è la miglior testimonianza che i conflitti non sono morti, hanno assunto un altra forma e si sono ammantati di ipocrisia. Viviamo in un mondo sicuramente più complesso rispetto agli anni '50, in cui le classi si distinguevano nettamente, ma questo non significa che non esistono conflitti nella società, che si possono invece misurare nel rapporto che c'è tra i mezzi di produzione e la proprietà individuale.

La Giunta Pigliaru è stata criticata in quanto definita 'la giunta dei professori', cioè poco politicizzata, e da alcuni paragonata al Governo Monti; quanta sinistra c'è in questa Giunta?

Vero che c'è una presenza forte di docenti universitari, ma traccerei linea di demarcazione forte con Monti: quello era governo tecnico nato fuori e al di là dal processo elettorale, mentre Pigliaru è stato eletto dai cittadini, e la Giunta si è formata su una dinamica politica, quindi in questo senso non è una Giunta di professori nel senso del Governo Monti. Se invece si intende che la politica anche questa volta ha chiesto impegno maggiore ai docenti universitari, questo è innegabile, ma è vero che nasce comunque da una dinamica politica, quei 'professori' non vengono da Marte come i montiani, ma da aree e percorsi politici.

Molti vengono più o meno dall'esperienza soriana.

Sì, in un certo senso sì, l'esperienza della Giunta Soru ebbe un grande consenso in quel settore della società, e anche questo non credo sia una parolaccia, perché con luci ed ombre è stata un'esperienza abbastanza interessante; in questa fase di avvio della nuova Giunta intanto mi piace pensare che finalmente si è chiusa l'esperienza peggiore della storia dell'Autonomia, quella dei 5 anni di Cappellacci: non ho memoria di un disastro politico peggiore. Il resto, poi, si vedrà. Certo, i dati elettorali ci dicono che la maggioranza che governa la Regione rappresenta il 24-25% degli elettori: non sarà compito semplice governare la Sardegna con questi numeri.

Borore continua a essere il paese del Marghine che esprime più politici: dall'indimenticato Nino Carrus a te, e Daniela Forma in Consiglio Regionale. Borore ha qualcosa di speciale?

Non saprei se ha qualcosa di speciale. Io ho conosciuto un paese che nei 90 e primi 2000 aveva un contesto culturale, politico e associativo molto denso, con associazioni culturali, musicali, sportive, di volontariato, e praticamente tutti i partiti dell'alveo parlamentare nazionale e sardo erano in qualche modo rappresentati da sezioni, gruppi o circoli organizzati. Oggi, forse, Borore è un po' cambiata, ma quello era il clima nel quale si trovavano le condizioni per l'emergere di una rappresentanza politica più forte; e poi l'altro elemento è il fatto che la dinamica dei piccoli paesi, se hai relazioni forti al loro interno, ti premia perché ti dà più consenso. Ci son paesi che più di Borore hanno questa attitudine, magari Borore ha avuto più 'risultati' rispetto alla sua dimensione; non ha qualcosa di speciale, ma forse qualcosa da insegnare rispetto ad altri contesti dove la politica si coltiva di meno.
 

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