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Capo Frasca. Il Popolo ritrovato

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CAPO FRASCA. Un'Isola che si risveglia e si mette in cammino. Un popolo, multiforme e splendidamente eterogeneo, alza la testa e pianta i piedi sulla terra che da sempre gli appartiene.
Nel pomeriggio assolato di un Sabato di metà Settembre la Storia è dei Sardi.
Migliaia di uomini e donne di tutte le età, dalle più svariate idee politiche, provenienti da ogni angolo della Sardegna, inondano pacificamente la terra che segna il confine invalicabile con un mondo altro, recintato e protetto dal filo spinato e sottratto alla sovranità dei suoi abitanti.
Siamo nel Golfo di Oristano, in un angolo di paradiso nel quale i colori della macchia mediterranea si specchiano sulle acque un tempo cristalline, da 60 anni teatro tetro di sperimentazioni militari, fucina di guerre da esportare, di bombe da collaudare, di interessi nazionali ed internazionali da tutelare.
A raccogliere l'invito di A Manca pro s'Indipendentzia, Sardigna Natzione Indipendentzia, Comitato Sardo Gettiamo le Basi, Comitato Su Giassu e Comitato Civico Su Sentidu, organizzatori della manifestazione, è stato un intero popolo, davvero difficile da inquadrare dentro una definizione: una moltitudine di anime dalle sfumature più svariate capace di ritrovarsi fianco a fianco in nome della necessità di riprendere possesso del proprio territorio, di opporsi, dopo decenni di silenzio, ad una imposizione che dall'alto ha reso la Terra Sarda la casa ospitale degli eserciti di mezzo mondo.
Un popolo consapevole e determinato, che ieri a Capo Frasca si è finalmente manifestato sprigionando un'energia prima impensabile, una forza dirompente, che da oggi non si potrà più ignorare.
Un grido di orgoglio, un “basta servitù” che andrà tradotto, nelle sedi appropriate, in fatti concreti, in azioni politiche che imprimano una svolta radicale ad una situazione che vede la Sardegna schiacciata dal 60% delle Servitù Militari dell'intero stato italiano.
Un peso insostenibile ed inconcepibile per un'isola votata al turismo, all'allevamento, all'agricoltura, alla sopravvivenza di un popolo fino ad ora tagliato fuori dalle fondamentali decisioni che ne determinano il destino.
La manifestazione, durata diverse ore, si è svolta pacificamente, ad eccezione di alcuni minuti di tensione in tarda serata provocati dal lancio di qualche fumogeno e di pietre in direzione delle forze dell'ordine, schierate in assetto antisommossa lungo il perimetro della zona d'accesso al Poligono, che hanno saputo gestire egregiamente la situazione, non rispondendo alla provocazione ed evitando le cariche.
Gli stessi manifestanti, accalcati davanti al cancello, hanno preso le distanze dall'accaduto gridando “siamo qui perché siamo contro la guerra e le armi. Siamo qui per la pace!
La conclusione della manifestazione è stata più memorabile ed inusuale della stessa grande partecipazione: un gruppo di giovani è riuscito, verso le 19.30, ad invadere pacificamente il piazzale d'ingresso della base militare, creando un varco attraverso la rete di recinzione.
Un'irruzione “gioiosa”, senza scontri con gli agenti di Polizia, che si sono ritrovati ad assistere ad una sorta di festa fuori programma: il piazzale del Poligono, all'interno della recinzione, si è trasformato in pochi minuti in uno spazio da condividere, tra suoni, ritmi cadenzati e danzatori improvvisati.
Una festa liberatoria proseguita fino a notte inoltrata.
Una riconquista dolce” di un pezzo di terra, fino a ieri inviolabile ed inospitale, che ha un indubbio valore simbolico.

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