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L’Accademia della Cricca

di Anghelu Morittu

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La questione dell’inceneritore di Macomer, fortemente voluto da una governo regionale nato col marchio della competenza accademica rivela drammaticamente la totale arretratezza progettuale di questa classe politica.

Classe politica, che politica non doveva essere, trattandosi come detto di professori prestati alla politica per dare un impulso innovativo all’amministrazione regionale.

La questione “Tossilo” è solo uno dei sintomi del fallimento e della autoreferenzialità del nostro sistema accademico incapace di dare un indirizzo positivo all’azione di governo.

Questa è la Giunta delle “mani legate”, del “sappiamo che sarebbero soluzioni migliori, ma dobbiamo accontentarci di questo”, dell’ineluttabilità dei processi di decadenza che vanno dalla chiusura dei servizi essenziali allo spopolamento delle zone interne. La giunta della rassegnazione e del tirare a campare, ma che: “almeno lo stipendio è buono”.

Un atteggiamento da politici di ultima categoria, ma tutto sommato il male minore rispetto al ruolo che svolgono nella preparazione delle nostre future classi dirigenti. I politici, si sa, vanno e vengono, ma i “professori sciatti” ce li teniamo una vita e nella loro vita lavorativa impongono il loro imprinting a generazioni di studenti che verranno replicati a loro immagine e somiglianza, che orrore!

Che insegnamento può dare un professore che teorizza certe soluzioni ma poi le scarta per pigrizia mentale o semplicemente perché si è sempre fatto così?

Il ragionamento sull’inceneritore discende da questo modo di pensare, cui si aggiunge la postilla localistica.

È notorio che Tossilo sia il cortiletto “privato” dove razzolano i notabili macomeresi e le loro clientele, un ranch chiuso che distribuisce da decenni una discreta fetta di potere e denaro, gente che nemmeno si pone il problema di riconvertire gli impianti rinunciando all’incenerimento, poiché quello hanno imparato a fare e per indolenza e sciatteria vogliono continuare a fare quello, come gli asini bendati intorno alla macina.

Così succede che l’impianto di compostaggio che a loro dire produce un ottimo compost non ne venda nemmeno un chilo, così come l’impianto di selezione degli imballaggi, fermo per non levare materiali da bruciare. Così succede che dovendo spendere 50 milioni di euro si preferisca nemmeno sondare altre possibili soluzioni, ma adottare sistemi vecchi di cinquant’anni.

Mezzo secolo fa incenerire i rifiuti significava ridurne la massa da gettare in discarica poiché non esistendo la tecnologia del recupero e del riciclo conferendo in discarica i rifiuti tali e quali queste si sarebbero saturate in poco tempo. Quindi in quel momento storico l’incenerimento ha consentito di limitare il problema delle discariche poiché tutto finiva inesorabilmente in discarica, ma oggi per fortuna la tecnologia ha fatto passi da gigante e non esiste materiale che non possa trovare una nuova vita o un nuovo utilizzo senza essere incenerito.

Ci sono nazioni europee che non hanno alcun inceneritore, altre che hanno una capacità inferiore a quella del solo forno di Macchiareddu, e noi, una regione da 1.6 milioni di abitanti ne vogliamo 2 e anche 3 se fosse possibile. Progettare e costruire un inceneritore che starà in esercizio per almeno 20 anni in una regione come la nostra e in un territorio ad alto pregio ambientale come il Marghine, vocato alle produzioni agricole di qualità significa avere una visione distruttiva non solo verso le risorse contenute nei cosiddetti rifiuti ma verso tutto il territorio e la sua popolazione.

L’aspetto paradossale di questa scelta, fortemente voluta dal governo centrale, è che trova un formidabile consenso da parte di alcuni personaggi che si definiscono addirittura indipendentisti (di paglia). Ma ripeto questi sono i giuochi e gli intrallazzi della politica e non bisogna scandalizzarsi troppo, anche se vanno smascherati e combattuti senza tregua.

Molto più difficile impedire che questi accademici continuino a sfornare giovani laureati con le loro stesse tare mentali. Oggi è difficile mantenere un figlio a scuola, figuriamoci all’università e per giunta all’estero, ma non c’è altra soluzione che farli studiare fuori dalla Sardegna se non vogliamo che i nostri giovani diventino come loro. Sinceramente, avendoli visti all’opera, avrei terrore che miei figli venissero a dirmi che hanno come “professori” i vari Pigliaru, Paci o Spano.

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