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Una finestra su Plaza Mayor: il mio regalo a zia Italina di Flavia Trogu

di Flavia Trogu

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Se riuscissi a parlare, cara nipote, quante cose avrei da raccontarti.

Come di quando, già signorina, salii su una grane nave che mi avrebbe accompagnata in questa terra calda di sole e profumata di ulivi”.

Italia Argentina, così l'avevano chiamata in onore delle sue due nazioni: la prima quella di appartenenza e la seconda quella che li aveva accolti.

Un nome di cui lei è sempre andata fiera, anche quando si scherzava perché pareva il nome di una partita di calcio.

Sta seduta su una poltrona, con una copertina azzurra sulle ginocchia.

Mi avvicino per salutarla, le sue mani cercano di accarezzarmi il viso.

L'alzheimer ha preso il sopravvento da un po', prima che io potessi ascoltare con attenzione i suoi racconti.

Ma lei prova a parlarmi e io l'ascolto attraverso i suoi occhi, che si spalancano proprio come una finestra su Plaza Mayor.

...Sono nata 100 anni fa, il 3 settembre 1919 a Tucuman.

Un giorno mio padre prese le sue valigie di cartone e partì in cerca di fortuna in quel posto che chiamavano America. Aveva trovato un lavoro da giornaliere per la costruzione della ferrovia, che gli avrebbe consentito di mettere da parte i soldi per comprare una casa in Sardegna, la sua terra natale, la nostra terra, anche se noi figli ci siamo sempre sentiti un po' mezzosangue.

Eravamo in tre, io, tua nonna Angela e il piccolo Salvatore che è andato via troppo presto.

Io andavo a scuola e mi piaceva moltissimo scrivere fin da bambina. Se chiedi alle mie figlie ti faranno leggere sicuramente qualcosa che ho scritto in gioventù.

In casa si parlavano due lingue, il sardo lussurgese e lo spagnolo.

Era divertente perché noi, essendo cresciuti là, avevamo imparato bene lo spagnolo, mentre i miei genitori facevano più fatica e questo ci divertiva tanto.

Ricordo la mia casa, piccola ma accogliente, che affacciava su una piazza. Mi piaceva molto guardare il via vai di persone che la animavano, le signore eleganti che la attraversavano tenendo per mano i loro bambini, sentire lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli, ascoltare la musica dell'organetto che suonavano gli uomini. Anche mio padre lo suonava: è questo che vedi, l'ho conservato per tutti questi anni...

Se riuscissi a parlare, cara nipote, ti direi di quanto amavo quella terra e di quanto mi sia mancata.

Ero ormai ragazzina, andavo per l'adolescenza, ballavo il tango con le mie amiche.

Risalii in una nave, con una valigia più bella di quella che aveva mio padre quando era partito per la prima volta, colma di begli abiti come quelli che indossavo e di quaderni di carta dove poter scrivere.

Il mare in Sardegna ha un altro colore, lo guardavo e ripensavo al cielo sopra Buenos Aires e mi dicevo “non siamo poi così lontani”.

Il tempo è passato. Ho indossato con gioia nuovi abiti. E, anche se all'inizio potevo sembrare un pesce fuor d'acqua, ti assicuro che è stato bellissimo insegnare il tango alle mie amiche portando il costume sardo!

Cara nipote, queste sarebbero state le mie parole se avessi potuto parlare, ma ho capito subito che avresti potuto darmi voce.

Oggi compio cento anni, e non sono più riuscita a tornare in quella piazza.

Sono certa che tu lo farai per me”.

 

Flavia Trogu

 

* Un ringraziamento speciale va ad Olga, figlia di Italina, che ha fornito le informazioni essenziali per poter dar voce alla sua amata madre

 

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