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Macomer. Un percorso da costruire insieme: la città risponde all'appello, scende in piazza e si ferma per riflettere

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MACOMER. Non doveva essere e non è stata solo una fiaccolata. La manifestazione svoltasi Venerdì sera a Macomer ha segnato un primo passo dentro un percorso non semplice sul quale ora occorrerà lavorare con costanza e attenzione. Un percorso che lo stesso Padre Salvatore Morittu ha definito “un impegno, un sogno”: quello di non cedere alla tentazione di tirarsi fuori, ma di accogliere la lezione di vita che arriva anche dalla tragica vicenda di Manuel Careddu per affrontare e guardare in faccia i mali che affliggono la società, mettendo in moto un meccanismo di comunità dentro il quale possa rinascere la vita.

Se è vero che non si può riavvolgere il nastro per strappare dalla morte il giovane di Macomer assassinato da un gruppo di ragazzi che conosceva e frequentava, è vero anche che si può lavorare affinché fatti di questo tipo non accadano più.

Di questo, in un confronto fatto di dolore, di presa di coscienza, di riflessione, di abbracci reali e virtuali, di bisogno di capire e di guardarsi, di contributi posati ed appassionati e di domande da porsi come singoli e come insieme, si è discusso nell'affollatissima aula magna del Liceo di Macomer, punto di approdo della fiaccolata per Manuel Careddu alla quale hanno partecipato migliaia di persone.

Non ci sono ricette date né soluzioni semplicistiche ed immediate: “siamo stretti nello stesso destino e dobbiamo lavorare per ritrovare il senso del NOI – ha scandito Giusi Boeddu, assistente sociale e direttrice dell'UEPE, Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Nuoro – e ciascuno può fare tanto dentro una dimensione che è necessariamente quella di Comunità. Chiediamoci: io cosa posso fare? Si parte da qui, insieme. Come istituzione, io ci sono e dico che in questa sala, stasera, si è già compiuto un grosso passo avanti”.

Il passo avanti sottolineato dalla Boeddu è quello di un'aula gremita dove si sono ritrovati insieme, dalla stessa parte, i Sindaci dei 3 Comuni coinvolti direttamente in questa terribile vicenda, Antonio Succu di Macomer, Alessandro Defrassu di Ghilarza e Stefano Sanna di Abbasanta, i loro colleghi del Marghine, il mondo della scuola con i dirigenti scolastici e gli insegnanti, gli studenti, i bambini e i giovani, il mondo parrocchiale, le associazioni, gli educatori, le famiglie e i cittadini. In una parola, la comunità. Non solo quella di Macomer, perché la voce della popolazione di Ghilarza ed Abbasanta ha risuonato forte e con messaggi chiari durante la serata. Oltre i due Sindaci del Guilcer, che hanno parlato di “responsabilità che ricade su tutti noi” e di un necessario “percorso di maturazione per prendere consapevolezza dei problemi e farli emergere per il bene dei nostri figli”, a rappresentare lo sgomento delle comunità è stato Padre Paolo Contini: “vi porto qui le lacrime del mio popolo, in particolare dei giovani. In tanti vengono a parlarmi per cercare una parola di conforto. Nella comunità c'è anche paura che la scelleratezza di qualcuno possa ricadere su tutti. Voglio poter tornare da loro dicendo che non c'è una frattura tra le comunità di Macomer e Ghilarza”. Padre Paolo prende così di petto una questione che aleggia su questa già terribile vicenda di cronaca nera: il terrore che possa innescarsi una contrapposizione tra le comunità coinvolte loro malgrado nei fatti, che possano emergere sentimenti di vendetta e di disamistade tra popolazioni da sempre amiche e che alla violenza si aggiunga altra violenza.

Ancora, la guida pastorale ha voluto soffermarsi sui ragazzi accusati dell'omicidio di Manuel Careddu: “andavano a scuola, al bar, a vedere le partite, a lavoro. Non è vero che mancano i servizi per i ragazzi, così come non mancano le loro famiglie, che – ha voluto sottolineare - oggi vivono un dolore atroce. Questi ragazzi vivevano tra noi, accanto a noi, ma dov'erano le loro coscienze quando hanno deciso cosa fare e come farlo? Io penso che questa storia si possa capire solo nel mondo della droga, di quella che uccide proprio le coscienze”.

Sulla questione droga ha voluto soffermarsi anche il parroco di Macomer Andrea Rossi, così come Padre Salvatore Morittu, che ha ribadito con forza che il commercio degli stupefacenti appartiene al mondo degli adulti e che i ragazzi sono solo l'ultimo anello di una catena ben più articolata che invade anche settori ritenuti fino a poco tempo fa immuni da certi traffici: “i nostri ovili sono oggi i depositi della droga” - ha sottolineato Morittu.

Siamo tentati di tirarci fuori da queste situazioni, dicendo chiudiamoli in galera e buttiamo le chiavi, oppure ricorrendo a schematizzazioni come se i giovani di oggi fossero altro rispetto a quelli di ieri. Non diventiamo tutti netturbini, che spazzano via senza cercare la carne viva – è il messaggio di Padre Morittu – ricordiamoci che ogni pena va finalizzata alla riabilitazione. Vogliamo giustizia, non vendetta. Sogno che domani l'Uepe possa trovare in questo territorio un luogo nel quale operare e che questi ragazzi possano ritrovare la loro dignità attraverso un percorso di giustizia”. E ancora, un monito alla scuola, affinché non si sottragga al ruolo fondamentale che svolge dentro la società - “se si perdono i ragazzi difficili, la scuola diventa come un ospedale” - e un'indicazione di metodo affinché la comunità torni ad essere il fulcro per costruire percorsi di pace: “dobbiamo essere custodi d'incontri tra coetanei, valorizzando l'educazione tra pari, e d'incontri intergenerazionali, favorendo l'incontro tra giovani e adulti”.

Sulla necessità di ristabilire un dialogo reale con gli adolescenti si è soffermata anche la psicologa macomerese Giulia Masia, che rivolgendosi ai genitori ha detto “non abbiate paura di mettervi in discussione”, mentre ai ragazzi presenti in sala ha chiesto uno sforzo per non perdere la speranza: “io credo in voi, tanti di voi sono degli esempi nell'impegno nelle associazioni e nel volontariato. Dovete essere l'esempio per chi vive una condizione di disagio e tutti dobbiamo aprire le porte e non nasconderci dietro la paura”.

Dall'associazione Pro Positivo, per voce di Gianluca Atzori, è arrivata la proposta di dare vita ad uno spazio dedicato ai giovani, “perché si dia il giusto peso alla celebrazione della loro vita e non solo all'inquietudine della loro morte”.

Spunti di riflessione, analisi, modalità e metodi d'intervento, tutto condensato in un incontro denso del desiderio di reagire, di riallacciare i fili strappati, di non perdere quel senso di umanità che dovrebbe guidare le esistenze, i singoli e le pluralità che si riconoscono in una comunità: è solo il primo importante passo, perché il percorso non può che essere lungo e sarà su quello che occorrerà investire e lavorare con determinazione, anche e soprattutto quando le luci delle telecamere si spegneranno, le cronache dei giornali parleranno d'altro e il vortice delle informazioni porterà altrove, spesso lontano dalla realtà del nostro quotidiano della quale, forse, si è sottovalutata la portata.

Chiudiamo il racconto della serata con la riflessione di Maura, giovane studentessa che ha portato e rappresentato a tutti i presenti i sentimenti di una generazione, quella giovanile, colpita e stordita di fronte all'accaduto:

È difficile trovare le parole giuste per trattare un evento così drammatico, specialmente ora che la ferita è ancora aperta ed è complicato restare in equilibrio, senza permettere al dolore di prendere il sopravvento.

La vicenda di Manuel è stata per le nostre comunità come un sasso gettato in uno stagno, un episodio violento al punto da scatenare sentimenti contrastanti: paura, rabbia, dolore, talvolta brama di vendetta.

Io per prima, a sentire la notizia, non ho potuto fare a meno di riflettere: come può essersi verificata una simile tragedia? Che strada aveva preso questo mio coetaneo? E soprattutto, avrei potuto fare qualcosa?

Credo sia questo ciò che dobbiamo chiederci, dove, come comunità, è nostro dovere porre rimedio agli errori commessi, mettendo a tacere giudizi e parole fuori luogo e ricordando, ancora una volta, che non si può e non si deve alimentare il fuoco dell'astio con odio e rancore, poiché da essi non può provenire nulla di positivo ed efficace.

L'unica speranza che abbiamo, seppur lieve, è che momenti come questo, di incontro e riflessione, riescano ad aprire le menti di tutti e ad indicare, soprattutto a noi giovani, quale sia la strada da percorrere, quali siano i veri valori, per far sì che - davvero - situazioni del genere non si verifichino più”.

 

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