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Il Centro Antiviolenza di Macomer tra speranze e voglia di resistere

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MACOMER. È vero che la Casa delle Donne del Marghine ha chiuso i battenti, ma è anche vero che il presidio sul territorio resiste e le vittime di violenza non sono abbandonate al proprio destino perché il numero telefonico 347.5221831, attivato per accedere ai servizi offerti dalla Casa delle Donne, continua ad essere attivo 24 ore su 24.

Non c'è più la convenzione, ma come associazione continuiamo a lavorare a titolo gratuito per garantire un supporto a tutte le donne vittime di violenza – dice Luisanna Porcu, presidente dell'associazione Onda Rosa Nuoro, che fino allo scorso Luglio ha gestito anche la struttura macomerese - se una donna ci chiama e ha bisogno di un incontro, facciamo in modo di organizzarlo in base alle sue esigenze e, se è necessario, siamo noi a spostarci per venirle incontro”.

Il caso macomerese del centro antiviolenza, aperto alla fine del 2017 grazie alle risorse di bilancio stanziate dall'Unione dei Comuni del Marghine e chiuso a causa dell'esaurimento delle fondi a disposizione dell'ente e del mancato bando regionale per l'accreditamento, è stato denunciato pubblicamente dall'Assessora comunale Rossana Ledda e ha assunto in questi giorni un rilievo simbolico.

Come donne si combatte in tanti campi – dice l'assessora e vicesindaca di Macomer – ma speravamo di non dover ancora combattere per veder riconosciuto il nostro diritto ad essere salvaguardate e alla libertà di vivere al riparo delle violenze”.

Il tema della violenza sulle donne è, purtroppo, questione di quotidiana attualità e il numero di femminicidi e quello di chi subisce violenza fotografano un fenomeno ancora molto lontano dall'essere contrastato e sconfitto.

Se, passate le giornate di ricorrenza istituzionale del 25 Novembre, il dibattito sembra inevitabilmente affievolirsi, a fronte di quanto accaduto a Macomer non ci si può che chiedere se per affrontare questa piaga terribile si faccia davvero di tutto per mettere le donne in una condizione di forza.

Abbiamo una delle migliori leggi italiane – ci dice la Presidente di Onda Rosa - il problema vero sono i soldi. La nostra isola paga anche un quasi inesistente cofinanziamento di provenienza privata a sostegno delle attività di supporto per le vittime di violenza, per cui si deve fare affidamento quasi esclusivamente alle risorse derivanti dai bandi pubblici”.

Un punto non trascurabile, perché per mettere in campo una rete capillare di assistenza e supporto alle vittime serve personale specializzato e, ovviamente, servono i fondi per la gestione.

Su questo aspetto forse la società tutta, a partire dai singoli per arrivare ai gruppi industriali, potrebbe incidere in modo più determinante, senza sottovalutare ovviamente la necessità di innescare e dare corpo ad un processo di tipo culturale che porti ad un cambiamento reale: “dobbiamo combattere il patriarcato ogni giorno, partendo dalle piccole cose - sottolinea Luisanna Porcu - i numeri ci dicono che in Sardegna una donna su tre subisce violenza e pensare di aprire e chiudere le strutture a singhiozzo non è un bel messaggio. Penso che una società civile non possa esimersi dall'affrontare quella che è a tutti gli effetti una violazione dei diritti umani”.

Intanto, in questi giorni a livello regionale qualcosa è sembrato muoversi con lo stanziamento di 177 mila euro destinati all'apertura di nuovi centri: il problema resta però quello dell'attivazione dei bandi, anche perché già lo scorso anno le risorse furono stanziate, ma non si procedette con gli adempimenti successivi. Luisanna Porcu si dice comunque “fiduciosa” rispetto alla loro attivazione e da fonti regionali è arrivata la garanzia che si procederà entro la fine dell'anno in corso.

Sui costi della Casa delle Donne di Macomer, la presidente Porcu precisa che per 7 mesi di attività si è speso circa 35 mila euro – non 80 mila, come erroneamente scritto in precedenza, che sarebbe invece, come ci conferma Rossana Ledda, il costo presunto per un anno di attività.

Se la Casa delle Donne del Marghine riuscisse a partecipare al bando regionale per l'accreditamento, verosimilmente avrebbe a disposizione circa 45 mila euro: fondi che potrebbero dunque non bastare per garantire un servizio costante per un anno di attività.

Su questo crinale potrebbe essere determinante proprio quella spinta di cofinanziamento da parte dei privati.

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