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Con “Febbrilmente Superstite” Martina conquista Firenze: Bolotana scopre una giovane narratrice

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Narrazione in prima persona, lineare e asciutta, condotta con senso della misura e concisione espressiva, sorretta da ammirevole assenza di invereconde esternazioni autobiografiche oggi tanto di moda: tali i connotati distintivi di questo racconto sul tema della memoria. Il motivo memoriale è sviluppato in modo originale, come desiderio di fermare il tempo e di riscattare il passato dalla nebbia della dimenticanza.

Il senso della misura un po’ si allenta nel finale, che è a forte effetto cinematografico.”

 

Questa la motivazione con la quale la Giuria di “Colloqui Fiorentini” presieduta dal Prof. Gino Tellini dell’Università di Firenze ha premiato Martina Tanchis, giovanissima studente del Liceo Galileo Galilei di Macomer, seconda classificata nella sezione “Narrativa” con il racconto Febbrilmente superstite: così Bolotana, paese natale di Martina, scopre una nuova giovanissima narratrice, capace, grazie ad un notevole dominio dell'arte della scrittura, di proiettare il lettore dentro una storia che pulsa di immagini, profondità di visione e sguardi dalla sensibilità autentica in grado di vedere oltre il visibile.

 

Un riconoscimento importante e autorevole quello incassato da Martina e dalla Scuola di Macomer nella XV Edizione del Convegno-Concorso Letterario Colloqui Fiorentini, dedicata quest'anno al poeta Giuseppe Ungaretti.

 

Il Liceo Scientifico di Macomer ha aderito con entusiasmo all'iniziativa, con la partecipazione di ben 10 studenti dell'Istituto: loro sono Paola Cabizzosu , Chiara Morittu, Martina Mossa , Sara Satta e M. Beatrice Uda del Biennio (classe 2° A); Matilde Fancello (classe 3° B), Caterina Lecis, Viola Lotta, Martina Tanchis (classe 4° A), Mariantonietta Saiu (classe 4° C) del Triennio e il loro lavoro collettivo e sinergico ha prodotto tre tesine di gruppo, un racconto individuale di Martina Tanchis e un’opera artistica di Viola Lotta.

 

Il nostro percorso insieme è iniziato ad Ottobre attraverso momenti propedeutici e laboratoriali sull’esperienza umana e letteraria di G. Ungaretti – dichiara la Professoressa Annamaria Zaghini, referente del Progetto - Il 24 febbraio siamo partite alla volta di Firenze per partecipare alla fase conclusiva dei tre giorni di Convegno. E’ stata un’esperienza emozionante e, a tratti, commovente poter allargare i propri orizzonti umani e culturali, conoscendo colleghi e alunni di tante realtà nazionali differenti, sentendosi uniti in una circolarità di menti e di cuori che si incontrano, uniti in una comune ricerca nell’abisso misterioso dell’esistenza”.

 

Menti e Cuori che s'incontrano grazie al sempre vivo fascino che la Letteratura è in grado di sprigionare: un collante speciale anche per i giovanissimi che, attraverso i grandi autori, hanno la possibilità di saggiare la vastità e la ricchezza della nostra cultura, ma anche di fare squadra e raggiungere risultati importanti cimentandosi in prima persona in esperimenti letterari e artistici di ampio respiro.

 

La Redazione de IlMarghine.net è davvero orgogliosa di pubblicare il bellissimo racconto premiato a Firenze.

Alla sua autrice, Martina, possiamo solo dire: Ad Maiora.

 

Di seguito, Febbrilmente superstite. Buona lettura.  

 

Non sono mai stato una persona convenzionale. Mi hanno chiamato spesso artista, ma io non mi definisco tale. Il talento degli artisti sta nel creare, io ho sempre fatto fotocopie della realtà, determinato ad impedire al tempo di scorrere. Feci il mio primo ritratto a tredici anni, l’anno in cui mia madre ci lasciò dopo interminabili agonie; non avevamo nessuna fotografia di lei, non amava vedere il suo volto stampato sulla carta lucida, nonostante i suoi denti candidi fossero perfettamente allineati e le labbra rosse e carnose, schiudendosi in un sorriso scavassero due fossette nelle guance morbide , dandole un’aria ancora più dolce e serena di quanto non l’avesse già. Si vedeva brutta, ma non lo era affatto, i suoi capelli color miele circondavano il viso ovale, dai lineamenti delicati, illuminato da due grandi occhi castani, contornati da lunghissime ciglia nere. Il pensiero di non poterla rivedere mi logorava tenendomi sveglio la notte; avevo perpetuamente in mente i suoi tratti, ogni piccolo particolare mi balenava in testa e la sensazione di perdita si faceva sempre più forte. Una notte, finalmente, decisi di prendere in mano una matita, di quelle nuove, appena comprate, che profumano ancora di legno, e cominciai a disegnare. Ogni linea veniva fuori spontaneamente dalla mina in grafite, come se la matita sapesse cosa fare, e io scoprii di essere capace di riportare il volto di mia madre in maniera perfetta. La mia memoria fotografica mi fu sempre molto utile, e la sfruttai spesso, insieme all’ abilità manuale per ritrarre qualunque cosa colpisse il mio sguardo, che fosse una persona, un albero o un fiore, tutto fluiva dalle mie dita con una naturalezza tale da sembrare pura magia, rimanendo impresso per sempre nella carta. La mia ossessione era quella di riuscire a fermare il tempo e permettere a ciò che disegnavo di diventare immortale, come mia madre. Le persone mi passavano davanti, catturavano la mia attenzione in qualche modo e poi proseguivano per la loro strada, interrompendo quel contatto intimo così com’era iniziato. Nonostante la parte razionale di me sapesse perfettamente che quel collegamento empatico che io sentivo crearsi, in realtà non esisteva erano solo sensazioni mie, il lato sensibile di me, quello che poi la notte si sedeva alla scrivania e disegnava, ogni volta sentiva una grande solitudine piombargli addosso, come se avesse la consapevolezza di essere l’unico superstite rimasto di quello scontro di occhi e di anime. E forse era proprio questo il motivo per cui disegnavo: era la mia ancora di salvezza dall’oblio, dal nulla che mi circondava, l’unico che avevo per sentirmi in comunione con il resto del mondo, che così presto mi aveva escluso. Essere diversi non paga, mi diceva mio padre, prima di lasciarmi anche lui. Non feci nessun ritratto di lui, forse nonostante il mio affetto per lui non volevo che fosse immortale. Spesso mi sono sentito in conflitto per questo, pensando di essere crudele ed egoista con l’uomo che per anni mi aveva cresciuto con amore e tutte le attenzioni di cui avevo bisogno, ma con gli anni avevo capito che il mio scopo non era quello di immortalare le persone in qualche modo importanti, ma quelle insignificanti, che nessuno a parte me notava; quelle persone che si incontrano in metropolitana o al supermercato e che sono troppo piccole per attirare l’attenzione dei più, ma dalle quali un animo “squisitamente sensibile”, come diceva il mio analista, rimaneva colpito. E fu proprio in un luogo comune come la metropolitana che la vidi quel pomeriggio d’inverno: a primo impatto fu la sua rossa chioma fluente che notai, non avevo mai visto capelli così rossi, così ricci e così scompigliati, parevano una nuvola infuocata e già avevo capito che mi era stata mandata dal diavolo per trascinarmi giù nell’abisso una volta per tutte. Poi mi soffermai sui suoi occhi, neri come cristalli di ossidiana e altrettanto preziosi; luminosi e intelligenti, ma troppo truccati per essere messi in risalto. Era vestita in modo semplice e comodo, come una qualunque ragazza di quell’età, giovane, troppo più giovane di me. Sentivo il bisogno quasi fisico di prendere il mio blocchetto e ritrarla così, mentre leggeva un grosso libro, concentrata. Cambiava espressione talmente di frequente che sembrava non avere un volto fisso, i suoi tratti erano vaghi e sfuggenti e non riuscivo a memorizzare il suo viso per quanto tentassi, era semplicemente la persona più singolare che avessi mai visto, non la più bella o la più affascinante, solo la più singolare. Ma proprio mentre estraevo il mio blocco, si alzò per scendere alla sua fermata, che purtroppo non era la mia. Non ebbi tempo di pensare, dovevo ritrarre quel volto prima che sparisse, non volevo rischiare di dimenticarlo e la seguii. Le camminai dietro per almeno mezz’ora senza che lei se ne accorgesse, ma non potevo attendere oltre, temevo che tornasse a casa e una volta varcato l’uscio non avrei più avuto occasione di ritrarre il suo volto. Allora la chiamai, attraversando la strada, ma fui troppo avventato, proprio mentre lei si voltava, mi sentii colpire al fianco che mi mozzò il fiato, fu l’urto più forte che avevo mai ricevuto; un SUV nero mi aveva appena investito, il mio sangue iniziò a scorrere a fiumi, mentre perdevo pian piano conoscenza, e lei guardava la scena con lo sguardo sconvolto, i capelli rossi fluttuavano nel vento gelido di metà Gennaio, mentre soffici fiocchi di neve cadevano piano sopra il mio corpo ormai privo di sensi. Alla fine, le mie sensazioni si erano avverate: ero stato portato negli inferi da quella nuvola color rame. Ma alla fine avevo avuto la mia piccola soddisfazione perché ero sicuro che non sarei mai stato dimenticato, avrei avuto anche io, come i volti appesi alle pareti della mia stanza , il mio piccolo scorcio di immortalità, riflesso per sempre negli occhi di quella piccola creatura che tanto mi aveva affascinato da portarmi alla morte. E, mentre venivo avvolto dal buio eterno, le sorrisi.  

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